CON UNA SENTENZA MOLTO ATTESA, MA PER NULLA SCONTATA, LA CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI HA DECISO: D’ORA IN POI I MATRIMONI TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO SARANNO LEGALI IN TUTTI I 50 STATI DELL’UNIONE (FINORA ERANO LEGALIZZATI SOLO IN 37 STATI, MENTRE NEGLI ALTRI 13 – PIU’ CONSERVATORI – VIGEVA ANCHE UNA LEGGE CONTRARIA ALLE NOZZE TRA OMOSESSUALI). PER CHI PENSA, COME ME, CHE L’AMORE NON ABBIA CONFINI, LIMITE O BARRIERA, E’ UN GRANDE SUCCESSO. ORA – DICIAMOLA TUTTA – MANCA SOLO L’ITALIA. PER MOLTE RAGIONI SARA’ UNA BATTAGLIA LUNGA E COMPLICATA, MA ALLA FINE – NE SIAMO SICURI – L’AMORE TRIONFERA’. E LA LEGGE LO RICONOSCERA’.

MATRIMONI OMOSESSUALI: ANCORA TROPPI NO NEL MONDO
In principio fu l’Olanda. Il primo paese del mondo, il 1° aprile del 2001, a legalizzare i matrimoni tra omosessuali. E non fu un pesce d’aprile: fu il primo passo verso il trionfo della libertà, almeno nell’Amore. Anche se non tutti i paesi del mondo – o, per meglio dire, non tutti i governi del mondo – la pensano così. Tanta strada è stata fatta, in questi 14 anni, eppure ci sono ancora stati in cui l’omosessualità è punita con la pena di morte: in Arabia Saudita, Pakistan, Iran e Siria. Non esattamente le democrazie più virtuose al mondo. E altri paesi dove essere gay è talmente considerata una colpa che è punita con il carcere a vita: in Mauritania, Burkina Faso, Sudan, Uganda, Tanzania e Thailandia. Sembra incredibile, eppure è tristemente vero.
Meno male che gli apripista olandesi hanno contagiato l’Europa (Italia esclusa), portando alla legalizzazione del matrimonio omosessuale anche in Belgio (secondo paese al mondo, nel 2003, a dire “Si”), in Spagna (nel 2005, anche per le coppie di fatto), in Svezia, in Norvegia, in Islanda, in Portogallo (nel 2010, ma senza la possibilità delle adozioni), in Danimarca (nel 2012, in Municipio o secondo le regole della Chiesa di Stato Danese), in Finlandia e poi, via via, anche in paesi che sembravano meno sensibili su questo argomento, come la Francia (2013), l’Inghilterra (2014) e addirittura l’Irlanda (il 22 maggio 2015). A proposito del Regno Unito, nonostante la minaccia di scisma della Chiesa Anglicana, è stata la stessa Regina Elisabetta a dare il definitivo assenso ai matrimoni tra coppie dello stesso sesso, dichiarando: “Chi l’avrebbe mai detto, 62 anni fa, quando sono diventata regina!”.
I tempi, in effetti, sono cambiati. Anche per un paese contrastato come il Sudafrica, che fino a vent’anni fa subiva ancora il pesante fardello dell’apartheid e che, dal 2006, ha addirittura una legge molto moderna che consente le unioni civili tra omosessuali. E’ l’unico caso in tutto il continente africano.
Persino in Israele, la Terra Santa, le cose sono cambiate: la legge non riconosce i matrimoni civili, nemmeno per le coppie eterosessuali, ma registra e legalizza i matrimoni omosessuali tra israeliani se contratti all’estero, ove sia legale farlo (addirittura con possibilità da parte di uno dei due coniugi di adottare gli eventuali figli dell’altro). Tanto per intenderci: in Italia non è possibile. Non solo i matrimoni tra italiani all’estero non hanno valore legale, ma dal punto di vista legislativo anche i famosi Pacs e Dico sono finiti in qualche polveroso cassetto parlamentare.
Peggio dell’Italia fa solo l’Australia: il “No” ai matrimoni gay è netto e deciso, e laddove qualche comune (come la municipalità di Canberra) ha tentato un qualche spiraglio di apertura, è intervenuto lo stesso governo a mettere il bavaglio ad ogni tentativo di modernità. Mentre i vicini di casa neozelandesi hanno da tempo ratificato il loro “Si” senza problemi.
Va un po’ meglio negli Stati Uniti, dove in 37 stati (e nel dipartimento di Washington) i matrimoni omosessuali sono legalizzati. In altri stati sono comunque regolarizzate le coppie di fatto, ma in North Dakota, Georgia, Tennessee, Kentucky, Ohio, Louisiana e Michigan proprio non ne vogliono sapere di gay e lesbiche sull’altare.
Tutto molto più semplice in Canada, con una burocrazia tra le più “light” del mondo: basta fare normale di richiesta di matrimonio in parrocchia – con la presentazione dei soliti documenti – per ottenere l’ok.
Va benino anche in Messico, anche se per il momento le unioni civili sono possibili solo nei comuni del distretto della capitale, Città del Messico, e di altri due stati, Quintana Roo (attorno a Cancun e Playa del Carmen) e Coahuila.
Persino in Sudamerica i matrimoni tra omosessuali sono legali, anche in paesi di tradizione cattolica come l’Argentina e il Brasile. Soltanto Bolivia, Paraguay, Perù e Venezuela non hanno ancora una legislazione in merito e, quindi, al momento, le nozze tra persone dello stesso sesso non sono possibili.
Assolutamente illegali i matrimoni gay anche in diversi paesi dell’Europa dell’Est: Bulgaria, Ucraina, Polonia, Lituana, Lettonia, Ungheria, Serbia e Montenegro. La Russia di Putin, che certo non ama le “diversità”, non ha una legislazione in merito e quindi il caso-matrimoni omosessuali non è nemmeno all’ordine del giorno.
E poi c’è la Germania, con il suo modello-tedesco di unioni civili senza matrimonio (dette amichevolmente “Partnership”) che ora, a quanto pare, sta per lasciare il passo ai matrimoni veri e propri: almeno è quanto la Camera dei Laender ha chiesto al governo di Angela Merkel, invitandolo a modificare il codice civile per permettere agli sposi dello stesso sesso di contrarre il matrimonio con gli stessi diritti delle coppie eterosessuali. Quindi, adozioni comprese.
E in Italia? Il matrimonio omosessuale non è riconosciuto dalla legge italiana. Il Belpaese è uno dei pochi in Europa che non ha ancora “aggiornato” il proprio diritto sulla questione di unioni legali tra persone dello stesso sesso. Molte sono le pressioni da parte della Comunità europea a prendere provvedimenti al riguardo. La Convenzione europea sui diritti dell’uomo, infatti, vieta qualunque discriminazione in base all’orientamento sessuale. L’Italia, ancora restia a legalizzare questo tipo di unioni, sta da anni dibattendo sulla questione. Qualche piccolo exploit mediatico (come Anna Paola Concia, parlamentare Pd, molto battagliera per il diritto al matrimonio) non è stato sufficiente a far finalmente approvare una legge. Ma forse sono gli stessi italiani a non essere troppo interessati all’argomento, presi come sono dalla necessità di sbarcare il lunario. Anche la Chiesa, con la sua influenza, fa la sua parte, nonostante le aperture di Papa Francesco. Legalmente la nostra Costituzione non vieta esplicitamente matrimoni tra persone dello stesso sesso. Anzi, l’articolo 3 recita cosi: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali“. Ma a quanto pare non basta. Almeno per ora.

EXPO, UN GIRO DEL MONDO (BEN ORGANIZZATO) IN 8 ORE!
Bella fiera, l’Expo di Milano. Sembra ben organizzata, senza cantieri non finiti, piena di gente, di stand, di cibo, di musica, di volontari (con la maglietta Volunteer) e di casacche gialle della Coldiretti. Ottima la birra belga e quella slovena, le ciliegie di Vignola e il Lambrusco Rosato, delizioso il grana con l’aceto balsamico. Molti sceicchi in giro. Splendida l’assistente russa all’ingresso dello stand di Madre Russia. Meraviglioso il finto castello del sultano dell’Oman. Non abbiamo visto lo chef stellato Massimo Bottura: quasi meglio. In compenso abbiamo conosciuto una bella americana esperta di tv e di quadri di Andy Warhol e un ministro dell’Uganda che non soffre certo la fame visto che e’ bello ciccio. Meno male che c’e pure una bella teca per le offerte per il Nepal (tanti soldini dentro e c’e anche un piccolo stand nepalese). E l’Albero della Vita, crocevia di percorsi e mondi, ha un suo fascino sottile. Soprattutto by night.
Le pecche: lunghe camminate per arrivare a destinazione (pochissime scale mobili: e i disabili?), il negozio dei gadget ufficiali e’ introvabile (pare sia dentro ad una Oviesse altrettanto introvabile), per prendere un caffe non esiste un bar normale e alla Lavazza serve fare mezzora di coda, ogni tanto piove dentro dall’alto della struttura (e in questo mese di giugno e’ piovuto assai!), lunghe code ai tornelli d’ingresso e code impossibili (anche due ore) in quasi tutti gli stand (il Kuwait in primis, e sinceramente non ne capisco il perche’). Ma l’Australia? Non c’e? No, l’Australia non c’è. A guardare bene, poi si vede che qualcosa è stato terminato in fretta e furia: pezzi di cantiere qua e là, vetri non proprio pulitissimi, persino i mozziconi dei muratori. Ma è tutto ben nascosto. Il prezzo del biglietto (39 euro) è assai alto (però 5 euro se si entra dopo le 19) e a gratis non si degusta neanche un fico secco. Troppa deferenza per i politici e i presunti vip (erano tutti eccitati per aver visto la giornalista Rosanna Cancellieri mangiare le tigelle, pensate un po’!). Da evitare i taxisti milanesi parcheggiati fuori dall’Expo e che non conoscono le strade per arrivare alla stazione di Rho Fiera. Vi sconsiglio assolutamente di venirci nel week end. Troppa gente (4 milioni di visitatori previsti fino a fine ottobre). E troppo mal di gambe. Ahi ahi. Un vero giro del mondo in 8 ore, altro che 80 giorni! Tutto sommato, un Expo organizzato bene, senza troppi intoppi all’italiana. E’ già un bel complimento.

IO E MAX
FINALMENTE, DOPO VENT’ANNI DI ATTESA DAI TEMPI DI “HANNO UCCISO L’UOMO RAGNO”, HO INCONTRATO MAX PEZZALI, IL CANTANTE DEGLI 883 CHE DA UNA VITA MI DICONO CHE SOMIGLI A ME. O MEGLIO: CHE IO SOMIGLIO A LUI. PRATICAMENTE UN SOSIA. MA POICHE’ ME LO DICONO PROPRIO DA VENT’ANNI – E ME LO HANNO DETTO ANCHE PERSONE CHE MI VEDEVANO PER LA PRIMA VOLTA – FORSE QUALCOSA DI VERO C’E’. IN TUTTO QUESTO TEMPO, IO E MAX SIAMO CRESCIUTI E INVECCHIATI INSIEME, INGRASSATI INSIEME (POI LUI E’ DIMAGRITO), ATTRAVERSATO DECENNI E MILLENNI INSIEME, LUI SEMPRE FAMOSO E IO SEMPRE ANONIMO SOSIA DEL CANTANTE DEGLI 883. OGGI, FINALMENTE, A MODENA, IN UN CENTRO COMMERCIALE PER LA PRESENTAZIONE DEL SUO NUOVO DISCO “ASTRONAVE MAX”, L’HO INCONTRATO E MI SONO FATTO FOTOGRAFARE INSIEME. NATURALMENTE NON GLI HO DETTO NIENTE, ANCHE PERCHE’ ORA – LUI MAGRO E IO CON BAFFETTI E PIZZETTO – TROVO CHE NON CI SOMIGLIANO PE’ NIENTE (COME DICEVA ROBERTO BENIGNI NEL FILM “JOHNNY STECCHINO”). IN REALTA’, ERA GIA’ SUCCESSO UNA VOLTA CHE ERAVAMO STATI COSI VICINI: ACCADDE QUALCHE ANNO FA, AL FESTIVAL DI SANREMO, IN UNA GIORNATA PIOVOSISSIMA. SOLO CHE IO ERO IN CARNE E OSSA E LUI SU UN CARTELLONE PUBBLICITARIO ATTACCATO AD UN PALO DELLA LUCE, VICINO ALLA SPIAGGIA DI SANREMO. E MI SONO FATTO UN SELFIE. MA NON E’ LA STESSA COSA. MEGLIO DAL VIVO. E ADESSO POSSO DIRE CHE MASSIMO PEZZALI DA PAVIA – PER TUTTI MAX – 47 ANNI, DA 23 SULLA BRECCIA MUSICALE, E’ RIMASTO IL BRAVO RAGAZZO CANTANTE DELLA PORTA ACCANTO, DISPONIBILE CON I SUOI FANS PER FOTOGRAFIE E AUTOGRAFI E PERSINO CON I GIORNALISTI PER LE INTERVISTE. QUINDI: W MAX!!!!! ASPETTIAMO ALTRI 20 ANNI DI BUONA MUSICA POP!!!!!

UOMO COPERTINA!
GRAZIE A TUTTI E IN PARTICOLARE ALL’AMICO PAOLO VOLPI, CHE AVERMI IMMAGINATO COME UOMO DELL’ANNO GRAZIE AL MIO INCONFONDIBILE CHARME ITALIANO…GRAZIE, TROPPO BUONI! MI BASTA ESSERE UNA BRAVA PERSONCINA SIMPATICA, NEL MONDO VIRTUALE E, SOPRATTUTTO, NEL MONDO REALE. PER CHI HA LA FORTUNA DI CONOSCERMI, S’INTENDE….

E’ ARRIVATO IL GIAGUARO!!!!!!!
E’ FRESCO DI STAMPA IL MIO NUOVO LIBRO, IL QUARTO: SI INTITOLA “IL NEMICO DEL GIAGUARO”, E’ UN GIALLO A TINTE NOIR, AMBIENTATO NEL 1992, IN PIENA TANGENTOPOLI, A META’ STRADA TRA LA NOIOSA PROVINCIA ITALIANA, A FERRARA, E L’EUROPA DELL’EST DEL DOPO-MURO DI BERLINO. ALLA FINE PROVATE AD IMMAGINARE CHI SARA’ “IL NEMICO DEL GIAGUARO”.
LA PRIMA PRESENTAZIONE DEL LIBRO AVVERA’ DOMENICA 17 MAGGIO ALLE ORE 11, A TORINO, IN VIA DEGO 6, ALL’INTERNO DELLA CIRCOSCRIZIONE CENTRO, NELL’AMBITO DEL SALONE DEL LIBRO OFF 2015! VI ASPETTO!!!! CI SARA’ ANCHE L’APERITIME…

FELTRI COME LA FALLACI? PERO’ UN PO’ HA RAGIONE…
Mentre l’Unione Europea fa finta di costringere i paesi membri ad accettare i tanti, troppi migranti che dal Nordafrica e dintorni stanno arrivando sulle coste italiane (fa finta perchè, naturalmente, già parecchi paesi europei hanno detto chiaramente “no, non li vogliamo”), mi capita di leggere casualmente un articolo con l’estratto del primo capitolo del nuovo libro di Vittorio Feltri. Il grande direttore bergamasco, battagliero da par suo, uno dei miei idoli giovani ai tempi della sua direzione de “L’Indipendente” (un tantinello filo-Lega Nord inizio anni ’90), a dire il vero mi pareva un po’ imbolsito dal passare degli editoriali, degli anni e dei frequenti salotti televisivi. Leggo con curiosità l’incipit del suo libro dal titolo “Non abbiamo abbastanza paura”, dedicato all’Islam e al nostro rapporto con i musulmani “normali”. Ecco: mi ha sorpreso. Citando più volte la collega Oriana Fallaci, di cui si arroga il ruolo di immeritato erede, Feltri ci racconta la vita di tutti i giorni dei musulmani di casa nostra, passando dal sorriso largo un metro della sua colf somala il giorno maledetto delle Torri Gemelle alla tragedia di Oslo del 2011 (ricordate il killer pazzo che sparò contro i giovani di una convention politica?) fino ai grandi tragici eventi degli ultimi mesi, Charlie Hebdo e Museo di Tunisi, i video terribili degli incappucciati dell’Isis e delle loro povere vittime vestite di arancione. Tutto ciò, scrive Feltri, dovrebbe farci una paura boia. Lui ammetta di avercela: “una paura fottuta”. Ma noi italiani, noi occidentali, non “abbiamo abbastanza paura”, convinti che siano fenomeno marginali, non più lontanissimi ma nemmeno cosi vicinissimi, e poi prima o poi le forze del Bene trionferanno sul Male e sulle Bandiere Nere. Feltri non la pensa così e prova a spiegarci il suo punto di vista. Devo dire che mi sono ritrovato nella sue parole: abbiamo paura sul momento (pensiamo a Charlie Hebdo), ma poi tutto passa, tutto scorre. Ha ragione, Feltri. Credo proprio che mi comprerò il suo libro. E cercherò di leggere anche il libro “Sottomissione” di Michel Houellellebecq, che tanto ha fatto discutere, soprattutto in Francia.
Con questo libro, dopo tante polemiche politiche stucchevoli, ritroviamo un Feltri in grande spolvero. E, a modo suo, prova a spiegarci come salvarci dall’Islam. E come possiamo salvarci la pelle.

I DURI LAVORI DEL DOTTOR TASSO…
E meno male che c’è sempre qualcuno che mi ricorda che fare il giornalista è sempre meglio di lavorare….in effetti, il dottor Tasso ha tentato di cimentarsi in altre attività professionali decisamente più manuali, tipo il coltivatore diretto e mungitore di vacche, nonché l’apprendista muratore, ma i risultati sono questi, sotto gli occhi di tutti…

LA FACCIA PULITA DI UNO SPORCO PALLONE
In pochi giorni il mondo del Dio italiano del Pallone – sempre più allo sfascio, paradigma di un Paese altrettanto catastrofico in molto aspetti della vita quotidiana – ci ha regalato il meglio e il peggio del proprio repertorio. Anzi, in ordine cronologico: il peggio e il meglio di sé. Partiamo dal derby di Torino, storicamente vinto sul campo dal Toro dopo vent’anni d’attesa, ma macchiata in maniera irreversibile da incidenti che, per la sfida della Mole, stanno diventando una pessima abitudine. Calci, pugni e sassi all’autobus dei giocatori della Juve da una parte (granata), addirittura una bomba carta fatta esplodere dentro lo stadio dai tifosi bianconeri e lanciata verso il settore dei tifosi avversari. Possiamo dirlo? Poteva pure scapparci il morto. E allora, in quel tragico caso, sarebbe stato patetico e dolorosa, il gioco dello scaricabarile tra le società e le tifoserie e la scarsa professionalità delle forze dell’ordine, che per 48 ore non sono riuscite a capire chi fosse il responsabile della bomba carta. Per fortuna non è successo il peggio: e proprio per questo, dopo i primi giorni di bufera, di titoloni sui giornali, di parole al vento e di promesse ministeriali di “ulteriore giro di vite” (ulteriore?), si rischia di tornare all’abitudinaria consuetudine degli incidenti dei nostri stadi, che sia l’assalto dei tifosi (?) ai giocatori del Cagliari, che sia le macabre messinscena degli ultras del Varese sul loro stesso terreno gioco. Da Vincenzo Paparelli (tifoso della Lazio morto allo stadio il 28 ottobre 1979, colpito da un razzo lanciato dalla curva della Roma) in poi, poco è cambiato negli stadi. E le vittime sono state tante, troppe. Ora ci sono più steward e meno poliziotti, ma la violenza cova ancora, sempre, sotto la cenere. Come fare ad estirparla? Il presidente del Coni Malagò si riempie la bocca della Thatcher, degli hoolingas inglesi e delle severe pene inflitte allora ai supporter d’Oltremanica. Forse potrebbe pure funzionare: certo la galera sarebbe un deterrente più convincente di un patetico Daspo (che peraltro qualcuno invoca anche per il picchiatore argentino dell’Atalanta Denis, autore di un cazzotto post-partita ad un avversario già negli spogliatoi). Succede di tutto in questo calcio e, sinceramente, non viene proprio voglia di portare amici, mogli, fidanzate e figli allo stadio. Certo che no. Meglio la pay-tv, sul divano, al calduccio, senza balordi attorno. Poi però…
Poi però accade di andare a vedere una partita “storica” per la promozione del piccolo grande Carpi (70.000 abitanti, in una zona laboriosa dell’Emilia, messa in ginocchio dal terremoto, ma subito in grado di risollevarsi senza troppi piagnistei), una squadretta di provincia che non piace a Lotito e ai grandi soloni del calcio italiano, ma che per la prima volta nella sua storia sbarca in serie A. E pazienza se non fa cassetta, se non fa audience, se non ha pubblico, se non ha nemmeno lo stadio a norma: nonostante tutto è arrivata prima in classifica e merita la serie A. L’altra sera, sotto una pioggia battente, ho visto amici e amiche, fidanzati e fidanzate, mogli, mariti e tanti bambini, tutti insieme allo stadio, pronti a festeggiare per una lunga notte, tutti insieme senza nessuna paura, solo per il gusto del calcio, solo per stare insieme, divertirsi, senza pericoli, senza preoccupazioni. Che sia questo il calcio del futuro? Piccole città, piccoli stadi, il calcio pane e salame del Carpi, del Sassuolo e del Chievo? Probabilmente è un’utopia, ma visto che il Dio italiano del Pallone ogni tanto si ricorda di santificare ancora il gioco più bello del mondo, allora non è tutto perduto. A parte che il Carpi e i suoi tifosi rimangano cosi come sono e non cerchino di scimmiottare i “mastini” delle curve. Se così sarà, la speranza di “salvare” il calcio – il nostro oppio della domenica (ma anche di tutti gli altri giorni, ormai) – sarà finalmente concreta. E se migliorano gli stadi, crediamo che possa migliorare anche la nostra società.
P.s. In bocca al lupo al Carpi per la prossima serie A!

LA PICCOLA GRANDE BARZELLETTA DEI MUSEI GRATIS
Dal 1° luglio 2014, la legge-Franceschini, ministro dei Beni Culturali, ha introdotto finalmente una bella novità: la prima domenica di ogni mese tutti i musei e palazzi storici italiani saranno aperti gratuitamente al pubblico! Una grande notizia, che porta l’Italia allo stesso livello di altri paesi europei, come ad esempio la Francia, che da anni adotta questo sistema di promozione turistica. Ebbene: a distanza di diversi mesi, con un colpevole ritardo, ho potuto verificare sul “campo” il non completo successo di questa iniziativa. Un classico esempio di poca chiarezza all’italiana. E’ successo la prima domenica di aprile, quando alcuni amici e parenti sono venuti a trovarmi a Torino: quale migliore occasione per visitare alcuni dei musei e palazzi storici più noti? E allora cominciamo con la Reggia di Venaria, splendida residenza sabauda riaperta nel 2007 dopo quarant’anni di abbandono, degrado e oblio. Ebbene: l’ingresso alla Reggia di Venaria è tutt’altro che gratis. Il costo della visita completa (Reggia+giardini+mostra) costa addirittura 25 euro (ma solo un euro per i ragazzi fino ai 16 anni). 25 euro per la Reggia di Venaria? Un po’ tanti se pensiamo che il Louvre di Parigi – un tantino più famoso – costa appena 10 euro e che British Museum e National Gallery di Londra hanno ingresso sempre gratuito, con offerta libera consigliata di due sterline. Ma, al di là del costo, perchè la Reggia di Venaria non è gratis la prima domenica del mese? Giriamo la domanda ai solerti inservienti (talmente solerti che, alle 18, già non vedevano l’ora di chiudere baracca e burattini): “La Reggia di Venaria non è gratis perchè non è un museo o edificio statale, ma regionale”. Capito? E noi che pensavamo che un museo regionale fosse pubblico come quello statale: e invece no! Che fregatura…
Poco male: ci spostiamo di pochi km e da Venaria ci trasferiamo a Stupinigi, nella bellissima Palazzina di Caccia, anche questa spettacolare vestigia dei Savoia dei loro tempi migliori e più rigogliosi. Ma anche qui niente da fare: pure la Palazzina di Stupinigi è regionale e non statale e quindi, anche in questo caso, niente prima domenica del mese gratis nemmeno in questo caso! Si vede che va così: i musei italiani saranno anche aperti alla domenica, ma con le dovute eccezioni. E allora scrivete: “Aperti solo i musei statali”. Insomma: una piccola grande barzelletta, quella di tutti i musei aperti. Anche se, in questo caso, la responsabilità è delle istituzioni locali, lentissime nel recepire le direttive del ministero. E così, quella domenica, con gli amici e parenti, abbiamo dovuto ripiegare sul Museo Egizio, appena rinnovato: qui si che l’ingresso è gratuito. Ma con due ore di coda! Ergo: abbiamo lasciato perdere. E quando ho accennato a lamentarmi, qualcuno ha osato zittirmi dicendomi: “Si informi meglio, guardi il sito internet!”. Detto, fatto: almeno per la prossima volta. Il sito di riferimento è www.beniculturali.it: e così ho scoperto che la prossima prima domenica del mese potrò andare gratuitamente agli Scavi di Pompei, al Colosseo, al Castello Sforzesco di Milano, agli Uffizi di Firenze, alla Pinacoteca di Brera e in decine e decine di altri musei, grandi e piccoli, in tutta Italia. Ma, tra gli altri, non si potrà entrare gratuitamente all’Arena di Verona, alla Torre di Pisa, al Palazzo Ducale di Genova (in Liguria i siti statali visitabili gratis sono solo 5: possibile che gli altri siano tutti regionali?), al Palazzo dei Diamanti di Ferrara e nemmeno al Museo Archeologico di Reggio Calabria, dove sono custoditi i famosi Bronzi di Riace: la loro riapertura è prevista solo dal 1° maggio, dopo sei mesi di lavori per il nuovo allestimento e ancora non si sa se alla domenica il museo, peraltro periferico e poco visitato, sarà aperto al pubblico. Insomma: una bella iniziativa, rovinata dalla solita pessima organizzazione all’italiana. Però, volendo, per migliorarla basta poco. Così come le tessere-sconto: meglio gli sconti per gli over 65 o, come in altri paesi, per gli under 25? Questione di scelte. Forse l’Italia non è un paese per giovani.