Camera e Senato, ok. Ma noi, intanto, aspettiamo un governo.

Sono passate ormai tre settimane dalle elezioni italiane del 4 marzo. Finite cosi, giusto per ricordarlo: vittoria del Movimento Cinque Stelle, il centro-destra è la coalizione più votata, la Lega meglio di Forza Italia, crollo del Partito Democratico. Tutto abbastanza prevedibile. E allora, se questo risultato era pure piuttosto prevedibile, perchè nessuna delle forze in campo ha pensato di provare ad accordarsi prima?
Un primo significativo accordo è arrivato con l’elezione dei Presidenti: alla Camera, il grillino Roberto Fico. Al Senato, la forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati.
Un primo accordo tra Cinque Stelle e centro-destra. Entrambi gli schieramenti, però, ci tengono a chiarire: è un accordo solo per le camere, nessun accordo ancora in vista per governo e premier.
Forse è solo una questione di tempo.
Ma noi, intanto, aspettiamo un governo.
Forse, a voler essere sinceri e scrupolosi, l’unica variabile del risultato, quella che era meno prevedibile alla vigilia, è stato il sorpasso di Salvini a Berlusconi. Per cui, forse lo stesso Di Maio non aveva messo in conto la possibilità di sedersi attorno ad un tavolo e discutere di un possibile governo insieme a Salvini. Anche perchè, lo sapete benissimo, i Cinque Stelle hanno sempre detto: “Nessun accordo”. Però, per fare il governo, l’accordo – numericamente – serve. E lo stesso Salvini, pur sbandierandolo a destra e pure a sinistra, non era sicurissimo di mettere davvero la freccia a Berlusconi. E cosi, nessun accordo – nè sotto, nè sopra il banco – è stato siglato in via preventiva. Ecco perchè, ora, si perde tempo in incontri, summit, riunioni e caffè diplomatici che non sembrano nemmeno tanto vicini a sfociare in un “tentativo esplorativo” assegnato dal Presidente Mattarella. Ma, prima o poi, dovrà pur accadere.
Ma noi, intanto, aspettiamo un governo.
Tutt’altro che sicuri di un’alleanza Cinque Stelle-Lega e tutt’altro certi che, se anche dovesse concretizzarsi, possa realmente funzionare (vediamo se funzionerà almeno per le camere), per la formazione di un governo ci sarebbe una seconda alternativa, anche se piuttosto spinosa e tortuosa da percorrere: l’entrata del PD in una coalizione di governo. Certo, dopo le dimissioni (vere o presunte?) di Renzi, il Partito Democratico appare allo sbando, senza una guida capace di calmare le ventosissime correnti interne e non pare proprio essere in grado di sorreggere un esecutivo in maniera concreta. Poi, dopo averli tanto denigrati in campagna elettorale, come farebbero i grillini a mettersi con i piddini? E poi, diciamo che promuovere al governo la forza politica più strabattuta di queste elezioni, sarebbe politicamente, sportivamente e pure democraticamente inspiegabile. E ancor più altamente improbabile dopo le elezioni di Fico e Casellati.
Ma noi, intanto, aspettiamo un governo.
Certo che in Germania, per fare un governo, hanno dovuto attendere cinque mesi dalle elezioni del 24 settembre, vinte (ma non stravinte) per la quarta volta di fila da Angela Merkel: che, tuttavia, ha dovuto attendere il siluramento di Martin Schulz per fare una nuova Grosse Koalition con l’SPD. Cinque mesi di attesa: un’eternità anche per noi italiani, figuriamoci per i tedeschi, che da questa vicenda ne escono decisamente  con un brutta figura.
Ma noi, intanto, aspettiamo un governo. Ci sono tante cose da “aggiustare”, in Italia.
E non abbiamo la pazienza dei crucchi.
Forse fanno prima in Russia: elezioni fatte. lo Zar Putin stravince (anche lui per la quarta volta!), resta al Cremlino e il governo è già bello che fatto.
Poi, in effetti, probabilmente la Russia non è l’esempio migliore da prendere come modello. Però lo scrivo e lo dico sottovoce, per evitare di essere avvelenato. Succede, di questi tempi…
Qui da noi, in Italia, almeno lo possiamo dire, senza rischiare troppo.
Lo dico? Lo dico.
Dai, datevi una mossa. Aspettiamo un governo.
Ma che sia buono.

 

Continuano gli spettacoli dei Teatroci…

Dopo il successo al Teatro Cardinal Massaia, al Piccolo Teatro Comico e al Salone-Teatro Casa Montalbano, il teatro dei Teatroci torna in scena per far ridere il pubblico DOMENICA 8 APRILE alle ore 18, al TEATRO SANT’ANNA di Torino. Uno spettacolo organizzato in collaborazione con la Confartigianato.
Ecco la locandina firmata dal nostro attore-designer Marco Tancredi.

E perchè lo sport è l’unico posto dove non si muore mai, e nessuno ti dimentica.

Dal blog di Riccardo Lorenzetti.

Ho vissuto tutte le morti”, disse una volta Hermann Hesse.
Sono morto come albero, e come petalo di rosa… Come insetto e come nuvola. Come battito d’ali di uccello, e come arcobaleno.

Voleva dire, forse, che ogni morte ci diminuisce. Anche se non ci riguarda da vicino.
Perché c’è stato un momento, da qualche parte della nostra vita, dove anche Davide Astori ha contato qualcosa.
Quando hai trovato la sua figurina, magari… O quando hai apprezzato una sua bella chiusura, un salvataggio nella linea di porta, un intervento pulito in scivolata. O quella volta che lo hai visto in foto, nel giornale, che si era vestito da Babbo Natale, e portava i regali ai bambini del Meyer.

Tutte le morti ci riguardano. Perchè nessun uomo è un’isola..
Io mi ricordo di quando ero piccolo, e morirono Pasolini e Saarinen. Che erano due motociclisti con il casco e gli occhialoni, come usavano una volta… Era la stessa domenica del Milan che perse lo scudetto a Verona, e noi provavamo il primo senso di vuoto che può dare una morte.
E che anche un campione, alla fine, è un uomo come gli altri.

Lo stesso senso di vuoto di quando morì Pantani. E De Andrè, e Lucio Battisti. Il Presidente della Sampdoria Paolo Mantovani, Gianni Brera e Scirea… Indro Montanelli, Elvis e Pertini. Eduardo, e Enzo Bearzot.
Gino Bartali, naturalmente. E Freddy Mercury, anche.
Mi ricordo di Ronnie Peterson, che morì guidando la Lotus nera, quella che aveva la scritta in oro John Player Special. Ed era la macchina più bella che avessimo mai visto.
Ayrton Senna, che ci morì davanti agli occhi, in diretta tv. E Gilles Villeneuve, che ci spezzò il cuore… E la notizia arrivò alla stessa ora, più o meno, del Capitano della Viola.

Ho trovato sublime il gesto della Fiorentina, che ogni tanto si ricorda di rappresentare, per la sua gente, qualcosa di molto più profondo di una semplice squadra di football.
Non mi sembra mai fuori luogo, quando si ritira una maglia. E mi commuovono i cori dei tifosi, e le sciarpe e le candeline ai cancelli dello stadio.
In genere, detesto la retorica. In tutti i campi, tranne che nello sport.
Perché lo sport è il nostro luogo delle fragole, e spesso penso che la retorica contribuisca a renderlo ancora più magico.

E perché lo sport è l’unico posto dove non si muore mai, e nessuno ti dimentica.
Trovo bellissimo quando a Old Trafford cantano in onore di George Best, e mi commuovono i tifosi granata che il 4 maggio salgono a Superga a deporre un fiore per il Grande Torino.
Mi piace che ci sia un museo con la maglia originale di Obdulio Varela, che guidò l’Uruguay ai Mondiali del 1950. E che nel mio paese organizzino da più di trent’anni un torneo per Fulvio Benvenuti.
E che davanti ad Anfield Road ci sia la statua di Bill Shankly; che veniva dalle miniere della Scozia, aveva fatto la guerra e poi fu l’inventore del più grande Liverpool di tutti i tempi.
“Ha fatto felice tanta gente”, scrissero nel piedistallo.

Ti sia lieve la terra, Davide Astori.
Capitano dell’A.C.Fiorentina.
Di Firenze.