TEMPI DURI PER LE EX MOGLI

Piccola rivincita maschile, soprattutto degli ex mariti, grazie alla sentenza 11504 della Corte di Cassazione datata 10 maggio 2017: pronunciandosi sul caso di un divorzio “eccellente”, quello tra l’ex ministro delle finanze (governo Monti) Vittorio Grilli e la moglie Lisa Lowenstein, di professione imprenditrice, i giudici hanno respinto il ricorso della donna, con il quale reclamava l’assegno di divorzio già negatole nel 2014 dalla Corte d’Appello di Milano, che aveva ritenuto incompleta la documentazione e, soprattutto, valutato che il marito, dopo la fine del matrimonio, aveva subito una considerazione “contrazione” dei redditi. Pronunciandosi su questo caso, la Cassazione spiega con un apposita nota il significato della sentenza: “La prima sezione civile – si legge – ha superato il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell’assegno al parametro del tenore di vita matrimoniale, indicando come parametro di spettanza dell’assegno, avente natura assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede”. La Corte ha ritenuto, quindi, che il parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio non sia più un orientamento “attuale” con la sentenza di divorzio e che il rapporto matrimoniale si estingua non solo sul piano personale, ma anche economico-patrimoniale. “La fine di un incubo”, ha dichiarato Grilli, “Una sconfitta per tutte le donne”, ha commentato la ex moglie.
Un’autentica rivoluzione del diritto di famiglia. Un terremoto giurisprudenziale. Non hanno esitato a definirlo così i più famosi avvocati matrimonialisti (e divorzisti) d’Italia, tra cui Gian Marco Gassani, presidente dell’associazione dei legali che si occupano delle pratiche di divorzio e dei sempre più frequenti contratti pre-matrimoniali. In Italia, dunque, sono arrivati i tempi duri per le ex mogli. Soprattutto le ex moglie di personaggi celebri e facoltosi. Fece scalpore, nel 2014, la pratica di divorzio del calciatore Andrea Pirlo, costretto a versare 55 mila euro al mese alla ex moglie Deborah, cosi suddivisi: 40 mila euro per la signora, 15 mila per il mantenimento dei due figli della ex coppia. Certo, il calciatore se lo poteva permettere, ma la cifra di 660 mila euro all’anno rimane comunque un bel gruzzolo. Quasi un trattamento di fine rapporto, verrebbe da dire. Con le novità introdotte dalla Cassazione, tuttavia, quel assegno di mantenimento – improntato in modo evidente a conservare lo stesso tenore di vita di prima – sarebbe stato decisamente più magro. Ci ha provato un altro personaggio, ancora più famoso, a sborsare meno, ma a Silvio Berlusconi non è andata bene: la Cassazione, confermando una interpretazione non semplicissima delle norme, ha ribadito che Berlusconi è uno degli uomini più ricchi del mondo ed è rilevante la disparità dei suoi redditi rispetto a quelli della moglie Veronica Lario. Detto, fatto: il Cavaliere dovrà continuare a pagare due milioni di euro al mese (24 milioni all’anno!) alla ex signora Berlusconi.
Dove sta la fregatura? Tenore di vita si o tenore di vita no? Probabilmente dipende dalla differenza giuridica tra divorzio e separazione: i giudici rilevano che la separazione non elide la permanenza del vincolo coniugale e quindi l’ex coniuge più facoltoso – diversamente dal divorzio – ha ancora il dovere di garantire al partner separato lo stesso tenore di vita del matrimonio.
Tenore di vita si, tenore di vita no, divorzio si, separazione no. Non è facile districarsi tra questi cavilli giuridici. Se vi capita – anche se non siete calciatori, imprenditori o politici e le cifre non saranno così astronomiche – vi servirà un avvocato divorzista di quelli buoni. Sicuro.
Ma, giusto per avere un termine di paragone, vediamo quello che prevede la legislazione in Germania. Oltre all’obbligo di mantenimento dei figli, in caso di divorzio vi è l’obbligo di mantenimento alimentare di uno dei due coniugi in diverse circostanze: se non può lavorare perchè si occupa di un figlio, se è affetto da malattia al momento del divorzio, se a causa dell’età non può più lavorare, se frequenta un corso di formazione e riqualificazione professionale che assicuri un sostentamento duraturo, fino a quando non trovi una occupazione adeguata, se il reddito derivante da questa occupazione risulti comunque insufficiente per i costi di sostentamento. Insomma: i tedeschi si confermano tali, con una visione molto realistica e concreta anche del divorzio e dei suoi “effetti collaterali”.
Senza ironia, in effetti, non possiamo però che consigliare a certe mogli italiane – non tutte, per carità – di pianificare un piano B, qualora le cose non andassero per il verso (e per il portafoglio) giusto.

C’ERO ANCH’IO IN PIAZZA SAN CARLO

Adesso che sono passati alcuni giorni, posso dirlo: in piazza San Carlo a Torino c’ero anch’io!
Naturalmente il mio pensiero è dedicato ai 1527 feriti di sabato scorso, il 3 giugno. Eravamo in 30 mila nel “salotto buono” della città, proprio davanti al maxi-schermo, per vivere da vicino la finale di Champions League tra la Juventus e il Real Madrid. Io c’ero, ma non per fare il tifo. Io c’ero, per lavoro. Come giornalista free-lance per un’emittente satellitare francese, EuroNews, interessata alla “storia” della partita e del pubblico. Una storia che peggio di così non poteva finire. Quello che è successo, lo sapete tutti. Lo avete visto tutti. Io sono stato pure fortunato: ero in prima fila, proprio sotto al maxi-schermo, davanti ai primissimi tifosi, arrivati lì già al sabato mattina, in posizione privilegiata, ma pur sempre dietro ad una transenna. Noi giornalisti accreditati presso il comune di Torino, organizzatore dell’evento – poi anche nella zona media hanno fatto entrare cani e porci – eravamo i più vicini alla prima via di fuga, ma mai avremmo pensato che quello spazio tra le due chiese gemelle di piazza San Carlo potesse diventare una via di fuga. Chi ci avrebbe mai pensato? Nemmeno gli organizzatori, nemmeno Questura e Prefettura. Nemmeno quelli che adesso si riempiono la bocca del “senno di poi”. Quello che è successo, lo sapete. La dinamica, il perché, resteranno per sempre un mistero. Io so soltanto che, poco dopo il gol del 3-1 che aveva raffreddato gli entusiasmi del popolo juventino, ho sentito un gigantesco movimento d’onda, ho girato la testa verso la sinistra e ho visto una mandria imbufalita di persone disperate correre verso di me. Ho fatto appena in tempo a percorrere quei venti-trenta metri che mi separavano dal retro del maxi-schermo, ma già in quel breve tragitto ho dovuto evitare persone già finite a terra e ho dovuto reggere l’urto per non finirci io, a terra. Sarebbe stata la fine. Mi sono riparato attaccandomi ai tubi Innocenti del maxi-schermo, ho perso di vista i colleghi, Ezio e Teo, che erano ad un centimetro da me. Ho temuto, per un attimo lungo un’eternità, che fosse un attentato. Lo avranno pensato tutti. Panico. Psicosi di questi tempi di terrorismo. Inevitabile. Ho avuto paura che, ora che ero al riparo dalla onda travolgente, arrivasse un terrorista con il kalashnikov. O con il coltello. Cuore in gola. A terra, feriti sanguinanti. Tutti a chiedersi, a chiederci: “Cosa diavolo è successo?”. Una bomba? Un petardo? Un falso allarme? Un ragazzo a torso nudo con lo zainetto? Ci sono state altre due inspiegabili ondate di tifosi. Ho rivisto Ezio e Teo, sani e salvi, grazie a Dio. Ma in tanti – non ultras, non hooligans, ma semplici tifosi che volevano passare una serata di festa – sono caduti a terra, sull’asfalto della piazza, come birilli, precipitati sui cocci di bottiglie di vetro che là non dovevano starci. Altri, i feriti più gravi, sono stati travolti, calpestati, schiacciati. Ora che sono contento di poterlo raccontare, ora che posso dire “io c’ero, ma non mi sono fatto un graffio”, vorrei dire: mai più maxi-schermi. Non è più tempo di scherzare con il fuoco. Con il panico. Con la paura. Quei 1527 feriti sono una…ferita per tutta Torino, per tutta l’Italia.
Mi dispiace dirlo, con amarezza, ma è cosi: non è vero che il terrorismo non vincerà.
Il terrorismo ha già vinto. Il terrore è già dentro di noi. Nella nostra vita quotidiana.
E prima lo capiremo, e meglio sarà.