ARRIVANO I “CASCHI BLU” DELLA CULTURA!

PalmiraE adesso arrivano addirittura i “caschi blu” della cultura: un’autentica task force europea a tutela del patrimonio
artistico e culturale dell’Italia e di tutti i paesi dell’Unione Europa, soprattutto in caso di calamità naturali e attacchi terroristici. L’idea è del nostro ministro della cultura, Dario Franceschini (in una delle rare occasioni in cui si nota la sua presenza), accolta splendidamente dall’Unesco: e il pensiero non corre soltanto ai piccoli grandi scandali di casa nostra (la sporcizia di Roma “celebrata” sui giornali di tutto il mondo e Pompei che cade a pezzi o è chiusa per riunione sindacale…), ma anche ai grandi drammi storici ed architettonici del nostro tempo, come il caso del sito archeologico di Palmira, in Siria, messo in pericolo dai terroristi dell’Isis e delle statue del Buddha distrutte dai talebani in Afghanistan nel 2001. I “caschi blu” della cultura interverrebbero nei casi di segnalazioni di attacchi per mettere in sicurezza le opere d’arte e i reperti oppure, nella fase successiva, per iniziare subito le operazioni di salvataggio e ricostruzione dei patrimoni danneggiati e a rischio.
C’è anche un altro progetto che parte dall’Italia e di cui si discute in questi giorni alla conferenza dei ministri della cultura all’Expo: l’istituzione di una scuola internazionale sul patrimonio culturale, post laurea, che sarà aperta fra un paio d’anni per ospitare studenti che, da tutto il mondo, vorranno approfondire in Italia le loro conoscenze tecniche su restauro, archeologia, storia dell’arte e architettura. Questo per dimostrare, a chi ancora non ne è convinto, che “la cultura dà anche da mangiare”.

MI MANCATE!

Da adesso in poi il giorno 30 del mese sarà dedicato alle ricorrenze, doveroso. Sono 6 mesi, infatti, che è mancata la mia mammina Teresa. E da appena un mese è volato incredibilmente in cielo anche il mio migliore amico, il mitico Balbo. Voglio ricordarvi cosi! Mi mancate!!!!mamma

balbo

SEMPRE MEGLIO CHE LAVORARE…

Guardando questa foto “di fatica” non sembra per niente vero quel famoso detto: “Fare il giornalista? Sempre meglio che lavorare”…qui a Fanano vedere il bravo giornalista corrucciato alle prese con una borsa arancione che pesava un botto e il fido cameraman Marco Lami che, invece, si è accorto della presenza del curioso fotografo Carlo Foschi…confermo, ragazzi: fare il giornalista è un duro lavoro!!!!lami

NON MI SOMIGLIA PER NIENTE…

Eppure mi dicono che assomiglio veramente al protagonista del film “V per Vendetta”: possibile? Ma no…eppure qualcuno me l’ha detto! Sinceramente trovo la mia faccia decisamente più espressiva e più simpatica, ma prendo il paragone come un complimento. In fin dei conti è bello avere un non so che di misterioso, no? v-per-vendetta-maschera

LA BELLEZZA E’ DAVVERO SOGGETTIVA…

Ringrazio infinitamente il mitico vignettista Gianni Soria per questa sua ennesima meravigliosa creazione: ormai dovrei farne una collezione permanente, praticamente un museo. Ci sto pensando. Il grande pregio di Gianni è che nelle vignette mi fa più bello (addirittura con gli occhi verdi) di quanto non sia nella realtà. Troppo buono. Grazie Gianni. vignettaSpero un giorno di sdebitarmi.

SUA MAESTA’ IL LAMBRUSCO…

lambE’ uno dei vini più conosciuti in Italia e sicuramente tra i più apprezzati. Passato alla storia come il vino tipico da accompagnare alle crescentine o alla piadina, è riconosciuto a livello internazionale come un vino che “non può non essere amato”. Conosciamo davvero tutto di questo vino? Ecco le 5 cose che non sapete sul Lambrusco.

1) IL NOME RACCONTA DELLA CASUALITA’ DELLA SUA NASCITA. E’ stata sempre controversa l’etimologia della parola “Lambrusco”. L’incertezza nasce dalle possibili varianti, c’è infatti chi parla di labo (prendo) e ruscus (che punge il palato), che racconta appunto dell’essere “brusco”, tipico dei vini giovani. Anche se la più accreditata parla analizza il nome come labrum (magine dei campi) e ruscum (pianta spontanea), ed è da questa interpretazione che potremmo ipotizzare l’origine del vino più noto nel modenese. Si trattava, forse, delle piante meno importanti dei vigneti e la sua scoperta fu tanto casuale, quanto sorprendente.

2) NEGLI ANNI ’70 E ’80 ERA CONOSCIUTO COME LA “COCA-COLA ITALIANA”. E’ una storia che pochi conoscono, perché non è legata a Modena, bensì agli Stati Uniti d’America, dove negli anni ’70 e ’80, il Lambrusco rappresentava il 50% delle esportazioni di vito italiano in America. Il suo successo tra gli Yankees si ottenne per la semplicità a cui il Lambrusco era giunto durante quel ventennio, e ciò piaceva ai palati americani, comunemente non così raffinati come i nostri, tanto da essere denominato la “Coca-Cola italiana”.

3) E’ UNO DEI VINI PIU’ CITATI DAGLI AUTORI LATINI. I romani avranno anche conquistato il mondo conosciuto, ma il Lambrusco ha conquistato i palati dei più noti autori latini. Infatti a parlare di “vite labrusca” sono Virgilio, che conosceva bene il vino emiliano dato che era nato a Mantova, ma anche Catone nel “De agri cultura”, Varrone nel “De re rustica” e anche il noto Plinio il Vecchio nel “Naturalis Historia”, che descrive le foglie del Lambrusco: “diventano di colore sanguigno prima di cadere”.

4) CONOSCIUTO DA DUEMILA ANNI, MA MAI COLTIVATO PRIMA DEL ‘300. Sembra un paradosso, ma è vero. Come detto in precedenza, il Lambrusco era noto ai più importanti scrittori e pensatori dell’Impero Romano, eppure nessuno di loro parlò mai di coltivazioni ad hoc del vino. Infatti il primo a descrivere una coltivazione di Lambrusco in maniera tecnica fu Pietro De’ Crescenzi, peccato che visse nel XIV secolo. Questo paradosso confermerebbe l’origine casuale del Lambrusco e il suo legame con i semi di vite silvestre (selvatica).

5) IL VINO PIU’ MEDIATICO E ROMANTICO AL MONDO. Per chi vive nel modenese, il Lambrusco è tipico da accompagnare alle crescentine o ad una serata di briscola con gli amici. In America è uno dei fenomi mediatici più frequenti del mondo del buon bere e buon mangaire. Il più importante critico enogastronocmio al mondo, Fiona Beckett, ha scritto sul Guardian che il miglior vino da tavola è il Lambrusco. Nel 2013 il giornale di inchiesta politica e cultura più famoso al mondo, l’Huffigton Post, scrisse che per San Valentino lo Champagne è passato di moda, ora servono vini rossi e frizzanti, in primis il Lambrusco. Lo stesso Wall Street Journal consiglia il Lambrusco tra i vini da bere giovani. Anche se il più eclatante è il magazine 7×7, il più importante di San Francisco, che consiglia il Lambrusco come vino perfetto da accompagnare alla cucina Messicana.

(da Modena Today)

BENVENUTI A MODENA, SAHARA…

TEMPERATURE NELLA NORMA? DIREI PROPRIO DI NO! L’ESTATE 2015 E’ GIA’ CONSIDERATA DA RECORD E NON SIAMO NEMMENO ALLA FINE DI LUGLIO: ADDIRITTURA SEMBRA ESSERE LA QUINTA ESTATE PIU’ CALDA DI TUTTI I TEMPI, ALMENO DA QUANDO ESISTONO LE RILEVAZIONI METEREOLOGICHE. E COSI’ PUO’ CAPITARE DI ENTRARE A MODENA E DI TROVARSI IN PIENO DESERTO DEL SAHARA…
DAI, COMBATTIAMO IL CALDO CON UN PO’ DI SANA (E FRESCA) IRONIA. modena sabbia

“RIPARATA” LA GRECIA, ORA NON RISCHIAMO L’ITALEXIT?

crisi-greciaHo letto commenti positivi e ho sentito sospiri di sollievo eterni dopo il sudato “Si” del Parlamento greco al nuovo piano di austerity imposto dall’Europa alla Grecia del “ribelle” premier Tsipras. Perché sarà anche vero che, per un paio di settimane, abbiamo fatto tutti il tifo per la piccola Grecia contro il gigante Europa (tralasciando le vere ragioni del mastodontico debito pubblico ellenico), ma alla resa dei conti è meglio che le cose siano state sistemate, anche se alla meno peggio. Tanto cambiare per nulla cambiare. Da italiano in bolletta, ho pensato: se salta la Grecia, possiamo saltare anche noi, intesi come Italia. Se, invece, hanno salvato la Grecia, allora vuol dire che – in caso di necessità, se e quando succederà – salveranno anche l’Italia. Quindi, un po’ egoisticamente: niente Grexit e niente Italexit.
Ma siamo proprio sicuri?
In linea di massima, si. Visto che l’Italia è dotata di una struttura economica e industriale ben più sviluppata della Grecia (che praticamente non ha fabbriche) e, dagli anni di Monti e Fornero fino ad oggi, anche a costo di duri sacrifici, il Belpaese è in qualche modo riuscito a rientrare almeno parzialmente nei limiti imposti impietosamente dall’Europa (pensiamo alle pensioni “allungate). Mentre negli stessi anni, in Grecia – tra spese pazze per le Olimpiadi di Atene, baby-pensioni e niente tasse per gli armatori – la vita è stata piuttosto allegra, almeno dal punto di vista delle finanze dello Stato (non certo da quello dei greci, costretti a vivere con i 60 euro sputati fuori dai pochi bancomat ancora funzionanti: per leggere della crisi greca vi consiglio tutti i libri dello scrittore contemporaneo Petros Markaris). Quindi, a occhio e croce, non c’è paragone, non c’è confronto tra i poveri italiani e i poverissimi greci. Ma fino a quando? Ho letto persino di qualche illustre commentatore europeo che consiglia all’Italia e agli italiani di non dormire sugli allori. Già, ma quali allori? Con tutte queste tasse che dobbiamo pagare? Con tutte queste aziende che licenziano e tirano giù la serrande? Con lo Stato che non interviene minimamente ad abbassare la pressione fiscale?
Se l’italia non diventerà come la Grecia, nemmeno gli italiani vogliono diventare come i greci. E in tanti stanno già pensando a due soluzioni: o non votare più per Renzi (perseverare è diabolico!) e sperare in bene, oppure prendere la via dell’esilio all’estero. Dove? In Germania, ad esempio. E almeno in questo caso, ci ritroveremmo Frau Angela Merkel dalla nostra parte. Dite niente.

MA PERCHE’ LA ZUPPA INGLESE SI CHIAMA COSI?

E’ uno dei dolci più apprezzati dagli italiani, almeno nel centro-nord Italia, dalla farcitura di crema e cioccolato in strati di savoiardi e poi ricoperta di alchermes. La zuppa inglese è frequente nei ristoranti dell’Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria, e varia a seconda del territorio nella sua ricetta, ma qual è la ricetta originale e in quale città è nata? A disputarsi il primato della zuppa inglese sono le città emiliane e romagnole, infatti in questi luoghi è diffusa già dal Settecento.

TRIFLE, L’ANTENATO DELLA ZUPPA INGLESE. A rendere l’origine della zuppa inglese misteriosa, è la mancanza di documenti ufficiali e così gli storici hanno dovuto ipotizzare luoghi d’origine analizzando la storia delle varie città, focalizzandosi sull’aggettivo “inglese”. Infatti molti si chiedono come mai un dolce nato nella nostra regione non si chiami zuppa modenese o zuppa ferrarese. L’ipotesi più accreditata è che l’aggettivo determini il cibo a cui poi gli emiliani si sono rifatti, infatti in Inghilterra, nel periodo Elisabettiano, si era diffuso il Trifle, cioè un dolce con base di pasta morbida lievitata, intriso di vino dolce, arricchito di pezzetti di frutta, o frutti di bosco, e coperto da crema pasticcera e panna o crema di latte (double cream).

COME ARRIVO’ IL TRIFLE IN ITALIA? Il punto più controverso è proprio questo, cioè il quando e come arrivò il trifle in Italia. Per alcuni storici l’arrivo nella penisola sarebbe avvenuto durante il rinascimento, infatti l’Inghilterra aveva contatti assidui con la casata d’Este e a sostegno di questa teoria sarebbero proprio i liquori usati. Infatti l’Achermes e il Rosolino sono entrambi di origine tardo-medioevale, specie il primo è dell’epoca di Marco Polo, quando vennero riaperte le vie commerciali con gli arabi, proprio perché il colore rosso era dato un prodotto importato, chiamato concciniglia.

PERCHE’ SI DIFFUSE SOLO NEL ‘700? LA TEORIA ALTERNATIVA. Sostenendo che l’arrivo del trifle in Italia sia avvenuto nel 1500 con la casata d’Este non si spiega come mai la zuppa inglese si sia diffusa in Italia solo a partire dalla fine del XVII secolo. Proprio questa incongruenza ha fatto nascere una seconda teoria: il più importante rapporto diplomatico tra l’Inghilterra e gli Este, guarda a caso, non avvenne nel 1500 ma agli inizi del ‘700. Infatti in quel periodo Maria d’Este, figlia di Alfonso IV d’Este, andò in sposa al re Giacomo II d’Inghilterra, diventando regina d’Inghilterra. La leggenda vuole che arrivata nel paese oltre Manica si sia innamorata di un trifle per aristocratici e che poi tornata in patria avrebbe chieso al suo cuoco di riprodurlo. Egli però aveva a disposizione solo i prodotti locali e con quelli trasformò il Trifle in “Zuppa Inglese”. Se questa teoria fosse accreditata, la zuppa inglese sarebbe nata nella capitale del Ducato Este, che nel XVII secolo era proprio Modena.

(da Modena Today)ZUPPAINGLESE3

SIAMO TUTTI COSI’ FACILMENTE CONVERTIBILI?

OCCHIL’incredibile vicenda della prima (e finora unica) “foreign fighters” italiana, Maria Giulia Sergio, e della sua famiglia, originari della provincia di Napoli e trapiantati ad Inzago nel Milanese, tutti pronti a licenziarsi, a vendere macchina e mobili e partire in fretta e furia per il presunto paradiso promesso dallo Stato Islamico mi fa veramente riflettere ad alta voce: ma siamo così tutti facilmente convertibili all’Islam? Siamo davvero così “arrabbiati” da voler mollare tutto e andare ad ammazzare “50 miscredenti al giorno” (come abbiamo letto dalle intercettazioni telefoniche) per sentirci meglio? L’Operazione “Martese” (parola che in albanese significa “matrimonio”: di mezzo, infatti, c’è anche uno jihadista albanese, marito di Maria Giulia), messa in atto dalla squadra mobile di Milano proprio un attimo prima che la famiglia Sergio prendesse il volo per l’Eldorado della Siria ha scoperchiato l’incredibile (ma vero) mondo parallelo dei terroristi dell’Isis, molto più di un semplice gruppo terroristico (con propaggini sempre più ramificate in vari paesi musulmani), ormai un vero e proprio stato a tutti gli effetti, dotato persino di un sistema di welfare che permette ad interi nuclei familiari di arrivare a Mosul e dintorni, nei quartieri generali del Califfo, e potersi sistemare come una normale famiglia che ha semplicemente traslocato. Senza rendersi conto di non aver solo cambiato paese e continente, ma anche tempo storico: dal presente, indietro indietro fino al Medioevo, dove di fatto è rimasto ancorato il sogno impossibile del Califfo dalla barba lunga.
“Ma poi potrò comprare una macchina?”, chiede il padre di Maria Giulia, preoccupato, alla figlia. “Ma poi potrò usare la lavatrice?”, chiede stavolta la mamma. Chissà se, sotto le bandiere nere, si può avere un’auto di proprietà e addirittura una lavatrice. Personalmente credo che chi si ponga queste domande di normale vita quotidiana non sia affatto pronto, vivaddio, a cambiare vita solo per assecondare i folli progetti di una figlia che, un tempo brava studentessa, ora non vede l’ora di diventare una martire della jihad, la Guerra Santa.
Basta così poco per convertirsi all’Islam, a questo Islam, fatto di morte, di orrore, di barbarie, di kamikaze e di innocenti turisti uccisi in spiaggia? Basta così poco? Basta sentirsi schiavi della società, basta non vedere un barlume di speranza verso il futuro, basta essere disoccupati o abbandonati dalla moglie per diventare dei sanguinari tagliagole? Per fortuna no. Eppure l’Isis sta avanzando, sta facendo sempre più adepti, anche insospettabili, giovani e meno giovani, anche nel cuore dell’Europa decadente. Qui qualcosa bisogna farlo. Per forza. Prima che sia troppo tardi. Prima che pure noi corriamo il rischio di convertirci a qualcosa in cui non crediamo.