Grazie, mitico GPO!

È stato un piacere condividere con il grande giornalista Gian Paolo Ormezzano attimi di racconti, di aneddoti, di sport, di cibo e vino, di convivialità, di buon vivere, di cultura, di ironia, e persino di “bocce quadre”, manifestazione che organizzava a Castellinaldo, nel Roero, nel cuore del Piemonte.
Sarò sempre grato all’altrettanto grande Darwin Pastorin per avermelo presentato. 
Rip.
P.s. Gian Paolo Ormezzano (GPO per gli amici) raccontava sempre di essere stato il primo cronista ad arrivare a casa di Fausto Coppi, il 2 gennaio 1960.

QUELLA MEMORIA A CUI SFUGGONO I DETTAGLI

Qualche giorno fa un conoscente mi dice: “Ti ricordi quella volta che siamo andati a Trebaseleghe a fare la telecronaca di pallavolo”?
No, non mi ricordavo.
Si, mi ricordo che attorno al 1995-96-97 – quasi 30 anni fa! – ho fatto anche il telecronista di categorie minori di pallavolo, ma ho completamente dimenticato di aver fatto quella trasferta.

Trebaseleghe, paese in provincia di Padova con “tre basiliche” [da cui deriva il nome], mi dice qualcosa: il commento a quella partita contro l’allora Italkero Modena l’ho fatto sicuramente, Trebaseleghe è un nome che non si dimentica, ma pensavo di aver fatto la telecronaca da studio, come avviene spesso. Invece, nel ridente paesello padovano ci andai veramente, a quanto dice il testimone oculare.
Ricordo vagamente una palestrina (ma c’ero davvero o erano le immagini video?) e assolutamente nient’altro. Niente del viaggio, niente dell’eventuale pranzo o cena, niente della compagnia di quel giorno. Tutto rimosso.

Si tratta di un episodio talmente insignificante della mia vita da meritare di essere completamente dimenticato? Mi sembra di no, eppure…
Poi ho fatto una controprova: ho guardato vecchie foto (che sono un toccasana per i ricordi), che mi hanno fatto ricordare, viaggi, persone, incontri, situazioni…
Di alcuni di questi episodi ricordo bene il prima, il durante e il dopo di quella fotografia, di altri episodi non ricordo nient’altro che il momento della foto.
Ma come ci siamo arrivati in quel posto per fare la foto? Ci siamo divertiti o no? Cosa abbiamo mangiato? Quali posti abbiamo visitato? Chi c’era con me?

Se non dimenticato, tutto molto vago.
Esiste, dunque, una memoria selettiva? Eventi della nostra vita di serie A da ricordare ed eventi di serie B da poter dimenticare?
Perché alla nostra memoria sfuggono certi dettagli?
Pretendo troppo dalla mia memoria? Dovrei mangiare più pesce per avere più fosforo? Non si può ricordare tutto?

Succede anche a voi? Vorrei la vostra opinione.
La nostra memoria è importante.
La nostra memoria siamo noi.

Bruno Beatrice, la prima “vittima” del calcio

16 dicembre 1987.
37 anni fa ci lasciava Bruno Beatrice, la prima “vittima” del calcio e del doping (che i calciatori subivano “involontariamente”: nel suo caso, una miriade di cicli di raggi Röentgen, che gli causarono la leucemia).

Aveva solo 39 anni.
Bruno Beatrice me lo ricordo eccome, nelle mie figurine di bambino degli anni ’70, con la maglia viola della Fiorentina, con la maglia bianca del Cesena e quella rossoverde della Ternana.
💜 Per sempre campione.


https://www.avvenire.it/agora/pagine/beatrice-il-nostro-calcio-malato-di-omert

Il coraggio delle sorelle Mirabal: l’origine del 25 novembre contro la violenza sulle donne

Il 25 novembre di ogni anno si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro donne, ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999.
Quella del 25 novembre non è una data scelta a caso dall’ONU: ricorre infatti l’anniversario dell’assassinio delle sorelle Mirabal, tre coraggiose donne rivoluzionarie, che furono assassinate nel 1960.

Le sorelle Mirabal e l’assassinio del 25 novembre

Le sorelle Mirabal

In una foto degli anni ’50 le sorelle Mirabal appaiono forti, sorridenti: Patria Mercedes, María Argentina Minerva e Antonia María Teresa sono le tre sorelle uccise brutalmente il 25 novembre del 1960 dal regime del dittatore Trujillo – in Repubblica Dominicana – a cui loro avevano tentato di opporsi. Questo evento e questa data sono stati scelte dall’ONU come simbolo della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne che si celebra in tutto il mondo nello stesso giorno.

La trentennale dittatura di Trujillo sulla Repubblica Dominicana viene considerata una delle più dure dell’America Latina: dal 1930 al 1960 si calcola che furono uccise più di 50.000 persone.
Le sorelle Mirabal provenivano da una famiglia benestante che – come molte altre famiglie – era stata espropriata dei suoi beni dal regime; erano donne colte e decisero di organizzarsi per combattere contro le atrocità commesse da Trujillo. Insieme ai loro mariti diedero vita al “Movimento 14 giugno“, gruppo politico di opposizione clandestina che prese piede in tutto il paese. Ma i membri che ne facevano parte vennero perseguitati e molti incarcerati, comprese le sorelle Mirabal e i loro coniugi. Le donne furono poi liberate ma uccise brutalmente in un agguato
: mentre si recavano in macchina a visitare i loro mariti nella prigione di Puerto Plata, l’auto fu fermata dal Servicio de Inteligencia Militar, le passeggere fatte scendere e, condotte in una piantagione di zucchero, furono uccise a bastonate.

La morte delle sorelle Mirabal

Le sorelle Mirabal erano cadute in un’imboscata del regime. I cadaveri furono poi rimessi in macchina per simulare un incidente al quale però nessuno credette. Nonostante la censura imposta dal regime di Trujillo, fu subito chiaro che le sorelle Mirabal erano state uccise e molte coscienze si scossero. La figura di Trujillo iniziava a tramontare e la dittatura a scricchiolare: anche gli Stati Uniti, che lo avevano appoggiato fino a quel momento, smisero di proteggerlo dopo il suo tentativo di far assassinare il presidente del Venezuela Betancourt, contrario alla sua dittatura.

Quando a Minerva Mirabal dicevano che Trujillo l’avrebbe fatta ammazzare, lei rispondeva: “Se mi ammazzano, tirerò fuori le braccia dalla tomba e sarò più forte”. La promessa di Minerva si è realizzata: dall’assassinio delle sorelle Mirabal la dittatura di Trujillo ha iniziato a scricchiolare.

Qualche mese dopo il dittatore venne assassinato e, nel 1962, si tennero finalmente le prime elezioni libere dall’inizio della dittatura.

Giornata contro la violenza sulle donne: i simboli

I simboli della Giornata contro la violenza sulle donne

I simboli della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne sono le panchine e le scarpe rosse, simboli che rappresentano la lotta contro la violenza di genere. L’uso delle scarpe rosse è stato ispirato dall’installazione dell’artista messicana Elina Chauvet, intitolata Zapatos Rojos (“Scarpe Rosse”) e realizzata nel 2009 per ricordare le donne vittime di violenza della città di Ciudad Juárez, in Messico. Elina Chauvet posizionò 33 paia di scarpe di donne rosse in una piazza della città.

Da allora, le scarpe rosse sono diventate un segno universale per sensibilizzare sull’importanza di combattere ogni forma di abuso contro le donne e per promuovere una cultura di rispetto e parità.

In seguito, anche la panchina rossa è diventata un simbolo di sensibilizzazione e memoriale per le vittime di femminicidio e violenza di genere. La panchina rappresenta un “posto occupato”, un ricordo visibile e fisso delle donne che hanno perso la vita per mano di chi avrebbe dovuto amarle e proteggerle.

“Un letto per due”: la storia di un matrimonio, tra gioie e dolori, speranze e rimpianti

C’è tutto il talento da drammaturgo del grande Tato Russo – autore, produttore e ri-fondatore del Teatro Bellini di Napoli – nel testo dello spettacolo teatrale “Un letto per due”, in scena in questo fine settimana a Torino, al Teatro Gioiello. 
In un crescendo agrodolce, lo spettacolo mette in scena…lo spettacolo della vita e, in particolare, del matrimonio: la storia di Riccardo e Marina, il cui matrimonio – dopo 35 anni – è forse alla fine, tra difficoltà, tribolazioni, speranze, delusioni, gioie, ripensamenti, contraddizioni ed emozioni. 
Sul palco, i protagonisti sono due grandi attori, compagni di teatro e di vita: Riccardo Polizzy Carbonelli – storico volto televisivo della fiction “Un posto al sole” su Rai Tre, nel ruolo del “cattivo” Roberto Ferri – che interpreta un marito dolce, disincantato e infedele, eppure ancora innamorato della moglie Marina, nei cui panni troviamo Marina Lorenzi, attrice teatrale arguta e sensibile, che in scena diviene una moglie premurosa e disattenta e, al tempo stesso, ruggente e disperata. 
Lo spettacolo, della durata di un’ora e mezza da “vivere” tutta d’un fiato, ha come ambientazione la sola camera da letto dei due coniugi, dominata dal loro grande letto a due piazze al centro della scena. 
In mezzo, come un grande orologio biologico, scorre tutta la vita trascorsa insieme da Riccardo e Marina: il fidanzamento, il matrimonio, la nascita del primo figlio, il successo di Riccardo come scrittore, la relazione extraconiugale di lui, le nozze della loro figlia, i problemi di salute del figlio, la casa che da nido d’amore diventa “prigione” di grandi dolori e “umani comportamenti”, che fanno il conto con i “fantasmi” di ieri e di oggi, sia di Riccardo che di Marina. 

C’è il lieto fine? Questo lo scoprirete solo a teatro. 
Le scene e la regia sono firmate da Luca Galassi, le coreografie sono ad opera di Aurelio Gatti, che arricchisce la scena, in danza, con le virtuose ballerine Paloma Dionisi e Natassja Rottoli dell'”Incorporea Group”. I costumi sono realizzati da Giusi Giustino, il light design è affidato a Roger La Fontaine, realizzazione scenografica di Peppe Zarbo (altro volto noto di “Un posto al sole”), musiche di Zeno Craig. 

“Un letto per due” è un intenso racconto che trasforma la (presunta) favola del matrimonio in un percorso di vita realistico, tragicomico e significativo, in cui tutti noi – nel bene o nel male – potremo riconoscerci. 

W Halloween!!!!!

La parola Halloween o Hallowe’en risale al 1745 circa ed è di origine cristiana. La parola Hallowe’en significa, alla lettera, “sera dei Santi”. Deriva da un termine scozzese per All Hallows’ Eve, cioè “vigilia di Tutti i Santi”. In scozzese la parola eve è even, talvolta contratta in e’en o een.

Il giorno dei morti è il 2 novembre, non è una festa pagana e non c’entra niente con Halloween.

(Nella foto: la Morte, interpretata da Santiago. Ma si è dimenticato la Falce…)

La Morte, interpretata da Santiago. Ma si è dimenticato la Falce....

Noi ci siamo divertiti a divertirvi….

Sembra di essere a “C’è Post-it per te” da Maria De Filippi…

Il Re del condominio è Amedeo, fedele custode dei segreti del palazzo. Si trova a che fare con uno scrittore in…ritardo di ispirazione, una romantica traduttrice di libri, una scatenata patita di cruciverba (fatti a modo suo!), un edicolante filosofo, una smemorata attrice di fiction, una petulante maestra in pensione, un geniale inventore di cose inutili e un giovane fotografo rubacuori.

🎯 Tutto fila liscio finché, nella buchetta della posta, non cominciano ad arrivare misteriosi post-it e i condomini cominciano a raccontare cosa non va nelle loro vite.

Una commedia agrodolce sulla vita “di palazzo”, sul tempo che passa, sull’amicizia e sugli affetti che vanno coltivati e sul complicato rapporto genitori-figli.

Tutti buoni consigli da annotarsi su un post-it colorato. Ma senza perderlo, mi raccomando….

📌 Un buon motivo per vederci a teatro? È un bel modo per incontrarci finalmente di persona…❤️…e magari ci siamo simpatici!

Torna il voto in condotta a scuola!

Torna il voto in condotta nelle scuole italiane, insieme ad altre importanti novità nel sistema scolastico, già a partire dal secondo quadrimestre dell’anno didattico in corso.  
Le introduce il disegno di legge “Valditara” sulla condotta scolastica, approvato dalla Camera dei Deputati in via definitiva (dopo l’approvazione in Senato del 17 aprile scorso): 154 voti a favore, 97 contrari e 7 astenuti.
La novità più significativa è la possibilità di bocciare uno studente che abbia un voto di 5 in condotta: e questo vale già a partire dalle scuole medie. 
Nelle scuole primarie, inoltre, il giudizio descrittivo sull’andamento di ciascun alunno sarà semplificato e affiancato da una valutazione sintetica: “Ottimo”, “Buono”, “Sufficiente” o “Insufficiente”. E il voto in condotta avrà un certo peso specifico anche alle elementari. 
Tra le altre misure “comportamentali”, anche l’introduzione di multe (risarcimento alla scuola da 500 a 10mila euro) per chi aggredisce il personale scolastico (compresi i familiari degli studenti) e saranno “rimandati” a settembre gli studenti che non avranno più di 6 in condotta. E come detto: con il 5, bocciatura garantita! 
Altra novità rilevante è il peso della valutazione del comportamento in vista del diploma di Terza  media e di maturità: ora, solo gli studenti che otterranno un voto in condotta pari o superiore a 9 decimi potranno ricevere, alla fine, il punteggio massimo agli esami. 
Altro giro di vite, in particolare per le scuole superiori: gli studenti che, eventualmente, saranno sospesi dalle lezioni per comportamenti violenti dovranno svolgere attività di recupero e, in caso di sospensioni superiori ai due giorni, saranno coinvolti in attività di “cittadinanza sociale” presso ospedali o case di riposo. 
“Con la riforma del voto in condotta”, ha spiegato il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, “si ripristina l’importanza della responsabilità individuale, si dà centralità al rispetto verso le persone e verso i beni pubblici e si ridà autorevolezza ai docenti”.

Totò Schillaci e la mia telefonata in Giappone…

Non ho mai conosciuto Totò Schillaci di persona, non ho mai avuto l’occasione di intervistarlo faccia a faccia. Ma ho avuto la fortuna di parlargli al telefono, per sette-otto minuti, indimenticabili. 
Vi racconto: era il 1994, Schillaci era appena andato a giocare in Giappone, in una squadra con la maglia celeste e dal nome strano, Jubilo Iwata. 

Allora ero un giovane giornalista a caccia di belle storie da raccontare: e la storia di Schillaci in Giappone – un calciatore così famoso in un paese così esotico e lontano, succedeva rarissimamente 30 anni fa – valeva la pena di essere raccontata in un bell’articolo, da pubblicare sul settimanale “Guerin Sportivo”, all’epoca il numero 1 sul calcio internazionale. 
Comincio a muovermi e, in qualche modo, riesco ad avere il numero di telefono di Antonio Caliendo, storico procuratore di calciatori, Schillaci compreso.
Caliendo possiede un telefono cellulare: nel 1994, i primi vip (gli agenti dei calciatori lo erano senz’altro) hanno già il telefonino, anzi telefonone, bello grosso e con una batteria pesante come un macigno. Caliendo, da buon ex venditore di diari calcistici ed enciclopedie, sa che la pubblicità è l’anima del commercio e mi gira volentieri il numero (giapponese!) di cellulare di Schillaci, con una raccomandazione: “Chiamalo a quell’ora, mentre sta facendo i massaggi dopo l’allenamento”. 

Calcolo il fuso orario e, al giorno e all’ora convenuti, chiamo sul cellulare giapponese.
Nota di cronaca: sono a casa mia, in provincia di Ferrara, con il telefono fisso, il batticuore e – per fortuna – i miei genitori erano fuori dai piedi, sennò sarebbe stato difficile giustificare una telefonata transcontinentale….
Al terzo squillo, risponde Totò Schillaci!
Proprio lui, l’eroe delle “Notti Magiche”, il mito dell’estate 1990, l’estate dei miei 20 anni….
“Sto facendo i massaggi, posso parlare tranquillamente”, e al telefono – con un segnale perfetto (sembrava dietro casa, non in Giappone) – mi racconta che là si trova bene, che per tutti i giapponesi è un idolo, che si guadagna bene, che si mangia benino (troppo riso, però), che il calcio giapponese non è male, ma il calcio italiano è meglio, che però Sacchi non lo convoca più, ma “tanto io continuo a fare gol e a divertirmi”….
Lo ricordo benissimo: sono stati questi gli argomenti di cui abbiamo parlato in quei sette-otto minuti intercontinentali, e non c’era nemmeno bisogno che gli facessi delle domande, Totò aveva proprio voglia di parlare, di “vuotare il sacco”, dopo che la Juve, l’Inter e il nostro Paese pallonaro lo avevano costretto ad emigrare. Emigrato di lusso, certo. Ma pur sempre emigrato.
Alla fine della telefonata, Schillaci mi ringrazia per l’intervista (lui che ringrazia me!), mi chiede quando esce l’articolo e mi chiede di mandargliene una copia, “perché tengo tutto quello che dicono e scrivono di me, fin da quando giocavo in serie C”, mi spiega. 

Ancora emozionato, metto giù la cornetta, scrivo l’articolo in un battibaleno, l’indomani lo detto (si faceva così, allora) alla segreteria telefonica della redazione del “Guerin Sportivo” e loro mi assicurano che verrà pubblicato nel numero della rivista della settimana successiva. Ma l’articolo salta, una settimana dopo l’altra. Ed esce soltanto due mesi dopo: un articolo molto tagliato, rispetto al mio originale, un riquadro su Schillaci in un servizio-reportage su altri calciatori del recente passato, in giro per il mondo, del tipo “…e intanto Schillaci è in Giappone”…
Poco più di un trafiletto. Ci sono rimasto male, soprattutto perché Schillaci meritava molto più di un trafiletto. Non ci si dimentica così dell’eroe delle “Notti Magiche”. Ed erano passati solo quattro anni.
Non gli mando neppure l’articolo (volevo spedirglielo per posta all’indirizzo della sua squadra giapponese), perché mi vergogno di avergli fatto perdere sette-otto minuti della sua vita per un piccolo riquadro in mezzo ad altri articoli.
Non si fa così, con un eroe come lui. 

Con il guadagno dell’articolo, ovviamente, non ci ho nemmeno pagato la bolletta stratosferica del telefono, arrivata a casa dei miei genitori (ho dovuto spiegare e dire la verità! E mio padre ha capito che era un apprezzabile tentativo di sfondamento professionale…), ma ho conservato per sempre quell’articolo – sia quello pubblicato, custodito gelosamente, che quello originale che avevo scritto tutto d’un fiato – e il ricordo di quei sette-otto minuti indimenticabili con Totò Schillaci. 
Poi, negli anni a venire – in questi 30 anni passati da quella telefonata intercontinentale alla brutta notizia di oggi – l’ho sempre seguito in tv e sui giornali con affetto e simpatia, anche quando è diventato, forse suo malgrado, un po’ la caricatura di se stesso. 
Ma era sempre e comunque Totò Schillaci. 
Ci mancherai.
Mi mancherai. 

Totò Schillaci festeggia dopo un gol con la maglia del Jubilo Iwata.
Totò Schillaci festeggia dopo un gol con la maglia del Jubilo Iwata.