Una delle cose meno divertenti del nostro mestiere di giornalista è l’impatto con la cronaca nera. Soprattutto nei casi di disastri di massa, come gli incidenti aerei. L’ultimo, in ordine di tempo, è avvenuto domenica 10 marzo, alle 8.44 del mattino, sui cieli dell’Etiopia. Un Boeing 7373 Max 8 della Ethiopian Airlines, una delle compagnie africane più affidabili, sei minuti dopo il decollo da Addis Abeba con destinazione Nairobi è precipitato portandosi via la vita di 149 passeggeri e 8 membri dell’equipaggio.
Domenica mattina ero al lavoro, nella redazione di Euronews. Il nostro è un lavoro di desk, non abbiamo la fortuna (o la sfortuna?) di essere sul campo, almeno non in questo frangente, nel momento in cui si è appresa la notizia dell’incidente. Pensando subito all’eventualità, poi confermata, della presenza di italiani a bordo. Ce n’erano otto.
Quella che doveva essere una tranquilla domenica di lavoro si è trasformata in una triste attesa di notizie, diffuse dall’agenzia Ansa e da altre agenzie internazionali, sulla scorta delle informazioni fornite dalla stessa Ethiopian Airlines alla Farnesina. E da lì è cominciato il lavoro meno divertente del mondo: il triste ritratto delle vittime dell’aria.
Informazioni che cominciavano ad arrivare come un fiume in piena, nomi, cognomi, età, origine, lavoro, attività. E poi, le foto. Meglio, se in un momento di felicità, passata. Una volta, per avere le “testine” delle vittime dei fatti di cronaca bisognava chiedere alla Questura, che le forniva alla stampa in base alle foto dei documenti di identità. Ora, esistono i social network. Si rischia di andare a frugare nell’intimità delle vittime, e su Facebook, ad esempio, poco dopo l’incidente esistevano già le pagine delle vittime con la scritta “in memoria di…”.
E allora, facciamo il nostro lavoro di ficcanaso. La foto dell’archeologo Sebastiano Tusa con la moglie durante una vacanza, il sorriso delle giovani funzionarie dell’Onu Virginia Chimenti e Pilar Buzzetti, una foto di Paolo Dieci ad una manifestazione con la bandiera della pace, i coniugi medico e infermiera, originari della provincia di Arezzo, che andavano in Sud Sudan per l’inaugurazione di un ospedale, insieme al commercialista, tesoriere della onlus Africa Tremila. E poi Rosemary Bumbi, l’unica di cui non si sono trovate fotografie, semplicemente perchè – tra le diverse omonime presenti sui social – non si sa qualche fosse la “vera” Rosemary. Il tutto per comporre un ritratto, triste, lo ribadisco, quasi un puzzle di volti un tempo sorridenti e che ora non lo saranno più. Sarà difficile persino recuperare i corpi delle vittime, l’aereo è letteralmente precipitato dentro al terreno, sprofondato in profondità. Forse non ci sarà nemmeno un corpo da consegnare ai familiari, per poter piangere i loro cari.
A volte odio questo lavoro.