da “Huffington Post”
Dieci giorni fa si scatenava una tempesta emotiva, ora è il turno della delusione, domani chissà: il comportamento della vittima e i sentimenti (nella sentenza “i risentimenti”) di un uomo che colpisce a morte sua moglie – l’amante, la sorella, la compagna – hanno un peso nelle aule di tribunale. Una relazione burrascosa o una madre anaffettiva possono costituire attenuanti e alleggerire la condanna per un reato agghiacciante e odioso.
Nella sentenza che vede dimezzata la pena per Javier Napoleon Pareja Gamboa – 52 anni, operaio edile ecuadoriano, condannato in primo grado per l’omicidio volontario della moglie Angela Coello Reyes, per tutti Jenny – ci sono due questioni da considerare, spesso confuse dall’opinione pubblica.
La prima riguarda il rito abbreviato, ammesso anche per giudicare reati violenti come l’omicidio e la violenza sessuale. È grazie al rito abbreviato (o a causa di), se la condanna a 24 anni per omicidio volontario a Gamboa è diventata automaticamente di 16 (diminuzione di un terzo della pena). Ancora oggi chi commette un reato efferato può godere di sconti, solo perché permette alla farraginosa burocrazia statale una riduzione dei tempi processuali. Le leggi vanno rispettate, ma anche le vittime e le famiglie che restano a piangerle dovrebbero esserlo: considerare caso per caso e concedere riti speciali solo quando ritenuto opportuno potrebbe essere un primo passo.
La seconda questione ha creato sconcerto e riguarda le attenuanti: tutto ciò che deve aver portato i 30 anni richiesti dal Pm ai 24 decisi dai giudici. Tra queste, spicca lo stato d’animo dell’omicida. Gamboa secondo i giudici
“ha agito sotto la spinta di uno stato d’animo molto intenso, non pretestuoso, né umanamente del tutto incomprensibile… come reazione al comportamento della donna, del tutto incoerente e contraddittorio, che l’ha illuso e disilluso nello stesso tempo”.
Quando i giudici scrivono che lo stato d’animo intenso del signor Gamboa “non è umanamente del tutto incomprensibile”, affermerebbero dunque che è umanamente comprensibile.
Possiamo leggere tra le righe di questa sentenza una condanna all’atteggiamento fedifrago e contraddittorio di lei, un po’ come dire che in fondo se l’è cercata. È bene ricordare che lui ha deciso liberamente di tornare in Italia dalla moglie a suo dire aguzzina, senza essere minacciato o picchiato. Lei gli ha solo promesso qualcosa che non ha mantenuto: la fedeltà. Non è la prima e non sarà l’ultima donna a tradire il suo uomo, bisognerebbe capire se questo debba essere considerato un’aggravante o un’attenuante, quando dall’infedeltà si arriva all’omicidio.
Questa sentenza desta ancora più clamore dopo quella nei confronti di Michele Castaldo: 57 anni, ha stretto le mani intorno al collo della povera Olga Mattei fino a ucciderla – la donna con la quale aveva iniziato una relazione un mese prima – quando lei aveva provato a lasciarlo. Secondo i magistrati le difficili esperienze di vita di Castaldo lo portarono quel giorno a essere sopraffatto e la “soverchiante tempesta emotiva e passionale” acuì il suo timore di venire abbandonato.
Nei cosiddetti delitti passionali e in tutti i femminicidi compiuti da uomini che non accettano di essere lasciati, abbandonati, respinti, ci sarà sempre una componente emotiva. Una donna che sceglie un altro uomo, una moglie che decide di lavorare mentre il marito la vorrebbe a casa, una fidanzata che lascia il compagno perché non lo ama più, una figlia che si veste troppo all’occidentale: queste donne provocheranno reazioni viscerali e turbamenti che non possono in alcun modo diventare attenuanti, non solo in fase processuale, ma ancor più nella nostra cultura.
I giudici sulle pagine dei giornali confermano le loro scelte e assicurano che non ci sia in corso alcuna deriva maschilista (che il giudice sia donna non fa alcuna differenza, in quanto il maschilismo non è prerogativa dell’uomo), ma affermare che questi giudizi non abbiano nulla a che fare con il delitto d’onore è scorretto.
Queste sentenze hanno un forte impatto sull’opinione pubblica e stiamo correndo un doppio rischio: che la pena sia eccessivamente soggetta alla sensibilità del giudice di turno e che qualcuno inizi (o ricominci) a considerare il comportamento di una donna come la causa di una reazione violenta, di un atteggiamento prevaricatore, di un omicidio.